Numerose sono le cause che hanno spinto la popolazione montana a lasciare i loro paesi e scendere nelle zone più produttive della pianura: dalla scarsità dei servizi forniti a chi decideva di occupare questi territori, alla povertà della vita contadina rispetto a quella cittadina, legata a ritmi naturali più che umani.
Le montagne sono state abbandonate velocemente e il territorio del comune di Castelmagno, nell'alta Valle Grana, è un esempio di questo esodo forzato. Da quindici frazioni esistenti negli anni cinquanta, oggi ne sono rimaste abitate solamente cinque: Campomolino, Colletto, Chiappi, Chiotti e Nerone. Tra Campomolino e Colletto esisteva un' antica frazione, sorta all'incirca nel XII secolo, chiamata Narbona, o Arbona. I primi a cercare riparo e costruire delle abitazioni in questo luogo furono ladri e briganti, secondo alcuni dei perseguitati religiosi; con il tempo però questi sono diventati i più buoni tra i castelmagnesi, caratteristica riferita anche dal Segretario del Vescovo di Castelmagno in base alle offerte che arrivavano da quella gente nel 1933. La scelta del luogo fu fatta in base all’esposizione al sole e alla facilità di osservare l’intorno senza essere visti. Le case sono venute lentamente, una sopra l’altra, vicine, per riuscire a sopportare il rigido inverno. Poi sono stati scelti i posti dove poter coltivare un po’ di terra, fare dei terrazzamenti produttivi nonostante il fondo roccioso. Tra il 1920 e il 1960 Narbona ha circa 130 abitanti, i più numerosi di tutto il territorio di Castelmagno; il paese è abitato da giovani e bambini per i quali è stata costruita anche una scuola. Sono arrivati poi gli anni sessanta e il fatidico boom economico, in questi anni un’automobile ha iniziato a fare più gola di una fetta di pane caldo appena tolta dal forno. La pressione economica del benessere apparente è stata insistente, più dei sentimenti che hanno trattenuto i montanari nelle loro case, pian piano il paese è stati abbandonato, le donne e gli uomini hanno lasciato le loro origini. Nel 1962 le ultime 11 famiglie fuggono dalla frazione. Il Parroco, nella sua Cronaca parrocchiale, scrive: "In estate le famiglie, esasperate dalle nevicate e dall’isolamento, non potendo più contare su molte braccia valide, abbandonano la frazione di Narbona. Due famiglie si trasferiscono a Torino, tre a Cuneo, due a Pentenera di Pradleves, una al Colletto, due a Campomolino e una in Francia”. E così inizia il degrado. Quando vanno via i giovani viene a mancare la più importante forza lavoro della montagna, il benessere fornito dalla città ha un sapore più allettante del lavoro nei campi e con gli animali, rimangono per ciò solo gli anziani, ma loro non possono essere lasciati da soli in luoghi così ameni, di difficile raggiungimento e senza servizi. Con il tempo i terrazzamenti coltivati vengono invasi dalle ortiche e la natura torna ad occupare quei luoghi a lungo antropizzati. I tetti delle case cedono, gli animali selvatici forzano le serrature delle case o delle stalle e ne fanno delle tane. Nelle abitazioni rimangono le pentole lasciate da sistemare in un secondo momento mai arrivato, gli oggetti per la cura della persona, i letti da rifare o i vestiti dell'ultimo prete che ha detto l'ultima messa. Arrivano poi i ladri che rovistano e prelevano ciò di cui hanno necessità e così, velocemente, svanisce un paese.
A noi posteri rimangono da contemplare solamente le rovine delle vite dedicate alla montagna, quando i racconti intorno ai caminetti, di masche e servant, servivano a far affiorare una paura che diventava un' amica in più con cui tornare a casa.
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